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Cari stilisti, vi siete dimenticati di noi

L’adaptive fashion, totalmente assente dalle passerelle, interessa circa 1,5 miliardi di persone nel mondo e più di tre milioni solo in Italia. Un mercato potenzialmente ricco ignorato dalla gran parte della moda

A parte poche eccezioni a New York e Londra, il mese di fashion week che si è appena concluso ha visto la quasi totale assenza di modelle con disabilità. “Eppure la moda, con il suo forte impatto sul nostro mondo culturale, ambientale e finanziario, dovrebbe essere un veicolo di inclusione sociale”, commenta l’attivista per i diritti delle persone con disabilità, Sinead Burke – lei stessa di statura piccola – che è stata vestita da brand come Gucci, Prada, Dior

(Nella foto:una maglia del brand Tommy Adaptive, creato dal designer Tommy  Hilfiger. Grazie al velcro, la scollatura si può aprire e chiudere anche con una mano sola, come mostra la modella con disabilità).

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Bellezza, inclusività e disabilità: stiamo davvero facendo abbastanza?

Come i brand stanno affrontando il gap beauty/disabilità e perché dobbiamo parlarne (di più). Elle.com/uk 2020 – Charlotte Bidmead

Nel Regno Unito sono circa 13,9 milioni le persone che vivono con una disabilità. È un numero incredibilmente alto se si considera quanto spazio viene dedicato alla disabilità dai media. La risposta è: pochissimo. Tuttavia, l’industria della bellezza sta iniziando a cambiare questo paradigma,

Disability, no Fashion, & the City

Questa volta ci sono rimasta davvero male. In un primo momento mi è sembrato solo un “no, grazie”, una cosa non troppo importante. Ma poi ci ho ripensato. Fatto sta che ieri avevo scritto a Patricia Field, la costumista di Sex and the City e di Emily in Paris, perché volevo chiederle se anche per una donna disabile è possibile trovare, fra gli outfit di Carrie o di Emily, alcuni che siano adaptive, cioè che si possano annoverare tra i capi adattivi, che si adattano a fisici di donne diversamente abili e facili da indossare autonomamente, quindi pratici.

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In un anno che si chiude, come il precedente, con la tristezza del Covid (che quasi pensavamo in fase ‘di remissione’) di nuovo dilagante con nuova variante molto più contagiosa, Omicron, abbiamo imparato definitivamente il significato delle parola inclusione e dell’aggettivo inclusivo/a. Non è stato però detto abbastanza che l’inclusione non vale e non riguarda solo la diversità di genere o di razza, ma anche la disabilità.