Quello che dice il mio amico Paolo Marcesini, Direttore editoriale dell’online (e bellissimo) magazine Memo, è un po’ quello che pensiamo noi tutti. In sintesi, Paolo spiega che un conto è stare a casa sapendo di poter uscire quando si vuole, un altro conto è essere in quarantena e dunque essere chiusi a casa e a chiedersi, costretti dalla quarantena stessa, se si è capaci di passare il tempo da soli e chi sono le persone con cui davvero vale la pena di passare le ore e i giorni ‘non costretti’ della nostra vita.
Non servono aggiunte a quello che spiega e che scrive benissimo Paolo: credo che sia utile a ognuno di noi leggere questa riflessione per sentirsi un po’ meno soli. Sì, proprio nei momenti in cui ci chiediamo se siamo capaci di stare da soli.
“Sono capace di stare da solo? Ho sempre risposto si! con convinzione, ne sono capace. Sono un uomo che si fa la tana, avete presente il tipo?
Malgrado la mia casa sia grande mi riduco ad occupare sempre piccoli spazi. Questione di consapevolezza, comodità e persino di rispetto.
Ma nessuno mi aveva mai obbligato alla solitudine sino ad oggi. L’avevo sempre scelta come pausa necessaria e meritata da un mestiere affollato e rumoroso. Amo il mio lavoro, sia chiaro, ne condivido il ritmo, le regole e persino i difetti. Grazie a lui ho conosciuto e conosco persone meravigliose che invadono la mia quotidianità con progetti, idee, stimoli, valori, condivisioni, belle parole. A loro devo la passione per quello che faccio. Grazie a loro ho imparato tutto quello che so.
In queste giornate il ritmo del lavoro non è cambiato; telefonate, scadenze, smart working, orari da rispettare, appuntamenti. Il tempo è organizzato così. Se possibile, lavoro molto di più adesso, da casa mia.
Le prescrizioni ci obbligano a tenere le distanze e così ti abitui a guardare le cose dalla giusta distanza. Scopri quindi che è aumentato il tempo del silenzio. Quello, all’inizio, si che fa paura. E allora cerchiamo il rumore, la tv sempre accesa, le news, i social che controlliamo con una frequenza simile all’ossessione (lo sto facendo adesso), la droga della fiction che ci fa evadere con la serialità delle storie che non finiscono mai. Invece il silenzio è un regalo inaspettato che sto riscoprendo. Il silenzio è concentrazione, la possibilità che abbiamo di pensare alle cose che contano davvero, quelle che quando arrivano non fanno mai rumore e ti regalano sempre un’emozione. Quelle che ogni tanto sacrifichi sull’altare del rumore. Che errore! Le conti. Sono poche. Non potrebbe essere altrimenti. Alcune telefonate attese con ansia, le piccole attenzioni che regali a chi ti sta vicino, la voglia di dare e ricevere, il volersi bene sempre, accettare le regole inviolabili del tempo che passa, aspettare, desiderare.
Mi sono trovato a pensare: chi voglio davvero sentire? E ho iniziato a farlo. Nella mia tana voglio alcune voci a farmi compagnia. Non tante. Perché è vero che sono bravissimo a stare da solo, ma perché dovrei essere solo?”.