Ieri sera, mentre stavo prendendo un aperitivo con amici, è saltato fuori il termine Nano da Giardino. sbucato dal passato. Si dai, sembrano secoli fa quando dal suo favoloso mondo Amèlie mandava a parenti e amici foto – cartoline (dico C-A-R -T-O-L-I-N-E) ritraenti il Nano da Giardino – portato via dal giardino-prigione dei suoi genitori – che se la spassava in ogni parte del mondo. Erano gli anni Novanta, tempo dei Movimenti di liberazione dei Nani da Giardino, che nottetempo rapivano le statuette in gesso da tranquilli home gardens di casette del Nord Europa e li liberava nei boschi. Solo in Francia i casi di furto contati nel ’97 furono 150.
Certo, tenere e soprattutto esporre un nanetto in gesso significa avere una vena kitsch senza se e senza ma. Poi ci sono io, che un nano da solo non lo accetto. Eh no, ci deve essere Biancaneve, sennò non vale, non si è coerenti. Perché ad avere lì fuori un nano da giardino son capaci tutti, oltretutto ultimamente i nanetti sono diventati anche icone di pop – design, quindi eventualmente ci si può dare un tono e dissimulare, dicendo agli amici che si voleva un ‘pezzo’ contemporaneo. Ma esporre Biancaneve, da sola senza nani, significa veramente distinguersi dalla folla (oltre ad essere filologicamente corretti. I Fratelli Grimm scrissero la fiaba di Biancaneve e i Sette Nani). E poi, non è che io la tenga in un posto qualunque: la mia Biancaneve è nella casa di Forte dei Marmi, e quando a fine stagione chiudiamo tutto, la ritiro dentro insieme alle biciclette. Al riparo da pioggia, freddo, umidità. E sopratutto lei se ne sta tranquilla, senza nanetti vari rompipalle a rovinare la sua allure da vera principessa.
Foto sotto: Set Biancaneve e Sette Nani vintage anni ’50, da Fanè
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