L’ascesa dell’adaptive fashion per una moda più inclusiva

articolo pubblicato su Harper’s Bazaar Italia

In Italia ci sono 3,1 milioni di persone con disabilità e se vogliono vestirsi alla moda devono districarsi tra zip, bottoni, etichette abrasive, scarpe coi lacci, negozi mal progettati e mancanza di formazione del personale.

Abbiamo i vestiti per i pets ma non per le persone con disabilità che, chissà perché, sembrano non godere del diritto a una vita estetica. In Italia sono 3,1 milioni e se vogliono vestirsi alla moda devono districarsi tra zip, bottoni, etichette abrasive, scarpe coi lacci, negozi mal progettati, mancanza di formazione del personale e di prodotti e vestiti adatti. In alternativa, possono rivolgersi ai marchi di abbigliamento adattabili, la cosiddetta adaptive fashion, una nicchia emergente e in forte crescita, assai utile sebbene un po’ ghettizzante.

L’obiettivo dell’adaptive fashion è l’inclusione sociale dei diversamente abili, anche se alcuni studi sottolineano come sia importante non tanto includere, quanto integrare. Una volta i giovani fuggivano la società come la peste, adesso vogliono entrarci a tutti i costi. Aria dei tempi. Scegliere Elle Goldstein, modella affetta da sindrome di Down e rappresentata da Zebedee Management – agenzia “creata per aumentare la rappresentazione delle persone escluse dai media” – come testimonial della campagna pubblicitaria di un mascara è qualcosa, bravo Gucci!, ma non è sufficiente, bisogna offrire soluzioni di design

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